Nell'affrontare un tema così delicato come quello del passaggio dalla rieducazione funzionale al fitness, che richiede una preparazione specifica da parte dell'operatore, è bene prima chiarire la differenza tra "riabilitazione" e "rieducazione".

RIABILITAZIONE - Etimologia: dal lat. re-restitutivo, habere, possedere. Definizione dei vocabolari: Reintegrazione di una persona, ritorno, restituzione a una normale attività, efficienza o altro (Zingarelli); ma anche ripresa della funzionalità di un arto (BUR). Riferita al dominio sanitario, branca della medicina che comprende tutte le manovre terapeutiche che mirano alla prevenzione e alla riduzione degli esiti invalidanti delle malattie, con il fine di migliorare la qualità della vita in relazione della persona al suo ambiente, e si propone diagnosi, valutazione dell’handicap, trattamento precoce, adeguato e correlato con i farmaci (Encyclopédie MédicoChirurgicale, Elsevier). Riabilitare: conforme al significato dell’inglese to rehabilitate, restituire un grado di efficienza e di funzionalità (Devoto Oli). Seguendo le due successive linee guida dell’OMS, può essere vista come un intervento globale per prevenire o eliminare l’handicap (ICIDH), o per preservare o allargare l’area della partecipazione (ICF). Può pertanto essere suddivisa, senza limitazioni nette tra i due domini (la carrozzina rappresenta le gambe del paraplegico o un mezzo di trasporto?) in riabilitazione medica (lotta per prevenire, contenere o eliminare le disabilità), compito delle strutture e degli operatori sanitari, e riabilitazione sociale (lotta per la prevenzione e l’abbattimento delle barriere: è l’impatto delle disabilità con le barriere, frutto per lo più dell’organizzazione sociale, a creare l’handicap), compito dell’intera comunità.

RIEDUCAZIONE - Far riacquistare la funzionalità parziale o totale a un soggetto, a un organo o a una facoltà che hanno subito una menomazione: rieducare un poliomielitico, uno spastico; rieducare un arto paralizzato; rieducare il linguaggio (nel significato medico). E’ quella fase successiva al lavoro fisioterapico che ha come scopo il completo recupero delle abilità posturali e motorie, anche in ambito sportivo. Il termine rieducazione può essere molto adatto, e in questo senso è ampiamente utilizzato dalla letteratura francofona, per quella parte importante dell’intervento riabilitativo che consiste nel trattamento dei segni e nella ricerca di compensi. In questo senso è molto più giustificato dell’abusato riabilitazione.

LA DIFFERENZA - Per quanto riguarda la mia esperienza ho sempre visto la riabilitazione come un’attività di pertinenza paramedica che utilizza sia macchinari di terapia fisica, sia manipolazioni, o comunque interventi di attività passive da parte del paziente per portarlo ad una condizione di fisiologica abilità a gestire il movimento. Per rieducazione motoria credo che si possa intendere quella serie di metodiche di attività fisiche che richiedendo il diretto impegno delle strutture articolari e fisiche in generale che presuppongono l’intervento di tutto il sistema neuromotorio così da sviluppare quanto eventualmente fatto nel campo della riabilitazione. L’obbiettivo finale deve essere quello di innalzare le capacità di gestione e controllo dl movimento ben oltre quello che era il livello (evidentemente non adeguato) che ha provocato la patologia.

L’approccio all’utente con patologie
Definita la nostra area di competenza iniziamo ora il percorso che ci porterà presumibilmente alla fidelizzazione del socio fino a portarlo ad essere un costante ed entusiasta frequentatore della nostra palestra. Come già detto sempre più persone si presentano in palestra con richieste specifiche di rieducazione motoria spinti da richieste dello specialista o dalla presenza invalidante di difficoltà motorie o algie. Nella maggior parte dei casi sono persone che hanno avuto scarsi contatti con un ambiente così movimentato(spesso caotico) come i centri fitness, per di più consci di essere in una condizione di inferiorità fisica e psicologica rispetto agli abituali frequentatori. L’accoglienza sicura ma consapevole, simpatica ma non esaltata, decisa ma disponibile è il biglietto da visita migliore per tranquillizzare questa persona già di per sé imbarazzata. La cosa che più ci interessa in questa prima fase è dimostrare interesse professionale e non morboso alle vicende precedenti l’avvento di questa persona nel nostro centro fitness. Rotto il ghiaccio con alcune domande relative alla patologia e alle causa che l’hanno provocata passeremo ad organizzare lo sviluppo del rapporto con questa persona che dovrà necessariamente partire da un approfondimento dello stile di vita, passato e presente, attraverso un colloquio iniziale.

Il colloquio iniziale
E’ consigliabile che i colloqui avvengano in una zona isolata o comunque parzialmente separata dal resto della zona di attività del centro per permettere a questa persona di sentirsi a proprio agio e poter “chiacchierare” di quello che è stato, di quello che è e di quello che sarà. Partendo dai dati personali, dall’anamnesi e dalla visione di tutte le indagini cliniche presentate, passeremo alla valutazione delle abitudini di vita e delle esperienze motorie per poi descrivere quello che dovrebbe essere lo sviluppo dell’attività che noi progetteremo per portare questa persona alle condizioni ottimali. Tutto ciò è importante che avvenga in un clima cordiale, senza impostare interviste o interrogatori predeterminati. Uno schema di massima ci permetterà di avere un percorso ideale per non dimenticare alcuna informazione ma l’assenza di schematicità permetterà di ricevere un maggior numero di  informazioni anche di carattere psicologico. Il mio schema ideale: età, altezza, peso, professione, abitudini di vita, esperienze motorie passate, cause della patologia, altre patologie presenti o passate, frequenza settimanale preventivata o necessaria, proposta di sviluppo dell’allenamento, condizione attuale.

Il primo allenamento (l’importanza dei test)
Subito dopo il colloquio o nei giorni successivi, previo appuntamento, inizierà il percorso attivo con una prima seduta di conoscenza reciproca delle condizioni di lavoro. Se questa persona ha già avuto da noi alcune indicazioni su chi siamo e cosa faremo, noi invece non abbiamo ancora indicazioni importanti sulle reali condizioni fisiche di questa persona (mobilità, resistenza alla fatica, forza, ecc). La possibilità di valutare in maniera oggettiva queste condizioni e di dare a questa persona una sensazione di attenzione nei suoi confronti ci è data dall’esecuzione di alcuni esercizi più o meno specifici per quella patologia. Questi, se correttamente codificati, si rileveranno dei “test” sufficientemente attendibili e potranno essere riproposti in momenti successivi, così da rivelarsi banchi di prova affidabili su cui costruire ulteriore motivazione per noi e per lui o campanelli d’allarme che ci permetteranno eventualmente di cambiare l’approccio o tornare indietro nel percorso sino a quel momento effettuato.

La programmazione
Ottenuti quanti più dati possibile dal colloquio iniziale, dall’eventuale documentazione presentata, dall’esecuzione di esercizi-test nel primo allenamento dovremo sviluppare il programma di lavoro dalla situazione attuale all’obbiettivo prefisso. La definizione di un protocollo (cioè di una sequenza di interventi predeterminati e specifici per quella patologia) non ci deve indurre a percorrere quella strada in maniera ossessiva. La compresenza di altre patologie piuttosto che la differente preparazione del soggetto, potrebbero contrastare con quanto prefissato, perciò la programmazione dell’attività dovrà essere composta dalle linee guida che ci condurranno in un percorso assolutamente variabile, e vagamente delineato, mantenendoci sempre pronti a modificare gli strumenti che ci permettono di avanzare. E’ consigliabile costruire un macrociclo che tenga conto di tutti i fattori noti, di alcuni mesocicli contenenti le tappe in cui dovremmo verificare il lavoro svolto, mentre per i microcicli dovremo determinarli solo dopo le verifiche svolte.

Le verifiche periodiche
Gli esercizi test svolti nella prima seduta di allenamento potranno essere riproposti al termine di un microciclo magari uniti ad altri di partenza collegati con il lavoro che si intende svolgere nel micro ciclo successivo. Immaginando una patologia (o un infortunio o un intervento) alla spalla fare eseguire alcune semplici elevazioni per avanti o per fuori del braccio teso seduti di fronte o di fianco ad una spalliera, potremo misurare l’altezza raggiunta dal braccio alla prima come all’ultima ripetizione valutando così la mobilità (o la forza) e la resistenza del muscolo interessato. Se associamo questo esercizio alla stessa elevazione seguita con la forza dell’altro arto mediante l’uso di una carrucola potremmo valutare  se il deficit di elevazione è dovuto ad un blocco articolare o alla mancanza di forza. In un periodo successivo il test di elevazione attiva del braccio teso potrà essere servito da un esercizio di extra rotazione del braccio flesso a 90° (con o senza l’utilizzo di un elastico di colore predeterminato) così da valutare un altro tipo di capacità da parte della stessa articolazione che ci servirà per organizzare il lavoro successivo. Al termine del microciclo successivo andremo a valutare con lo stesso esercizio test il risultato raggiunto.

Il passaggio dalla rieducazione all’allenamento
Siamo così giunti al momento in cui quella persona un po’ afflitta e impaurita che aveva cominciato questo percorso con noi, avrà  ritrovato non solo l’annullamento dei fattori debilitanti che l’avevano portato ad iscriversi in palestra ma una condizione addirittura migliore di quella precedente le cause scatenanti della patologia. A questo punto potrebbe sembrare naturale proporre a questa persona di proseguire il cammino alla ricerca di un miglioramento delle condizioni generali del proprio corpo. Io credo che l’errore più diffuso, e causa dell’abbandono da parte di questi soggetti, sia proprio la necessità di una richiesta specifica riguardante la prosecuzione dell’attività fisica. Troppe volte l’istruttore si cala completamente nelle vesti del rieducatore perdendo di vista la finalità del centro in cui opera che è quella di dare al socio tutti gli strumenti per raggiungere la “condizione di fitness” . Questo passaggio non deve essere vissuto dal socio come un salto verso un impegno gravoso o protratto nel tempo ma deve essere vissuto come una naturale continuazione dell’attività svolta fino a quel momento. Come è possibile ottenere ciò? Non esiste una ricetta precisa ma se riusciamo a coniugare le necessità della persona in questione e l’ambiente in cui stiamo operando, riusciremo a miscelare la sua richiesta specifica con una proposta non dichiarata di attività fisica più completa. In quest’ottica vanno inserite diverse esperienze di centri con un settore di rieducazione motoria staccato dal settore fitness, dove una percentuale molto bassa di clienti/pazienti del settore rieducazione risultavano poi iscritti al centro fitness. In quei casi credo che la difficoltà stesse nell’impossibilità di variare gradualmente le percentuali di intervento spostando dal 100% di rieducazione motoria sino ad arrivare ad un 100% di attività di fitness senza che questa persona ricevesse una richiesta diretta.

 

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a cura di S.Artuso
Insegnante di educazione fisica
Personal trainer
Esperto in rieducazione motoria post infortunio

 

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